Dalla collega Daniela Urtesi riceviamo e pubblichiamo.
Un interessante studio della SNA - Scuola Nazionale dell'Amministrazione - Presidenza del Consiglio dei Ministri e dell'IRPA – Istituto di Ricerche sulla Pubblica Amministrazione, fa il punto dopo vent'anni dall'introduzione del principio di separazione tra politica e gestione avvenuto con il D.Lgs. 29/93.
“I risultati confermano che la riforma del 1993 ha avuto esiti certamente poco lusinghieri, non solo per i suoi limiti originari, ma anche per il modo in cui essa è stata “corretta” e interpretata. Sotto il profilo funzionale, dopo venti anni, la distinzione tra funzioni di indirizzo e funzioni di gestione non è sempre agevole, ma questa difficoltà è stata spesso usata come “arma” o pretesto sia per conservare competenze amministrative degli organi politici, sia per non esercitare correttamente l’attività di indirizzo. Sotto il profilo strutturale, la situazione è ancora più preoccupante. Da un lato, la disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali è divenuta strumento di fidelizzazione dell’amministrazione alla politica; dall’altro lato, le strutture di raccordo concepite per facilitare la separazione di funzioni, ossia gli uffici di diretta collaborazione, sono divenuti strumento per consolidare l’ingerenza politica e la commistione dei compiti. A tutto ciò il legislatore non ha saputo (e non vuole n.d.r) porre rimedio.....
Lo studio esamina anche la situazione degli enti locali
“Nei grandi comuni, dove generalmente vi sono dirigenti di ruolo, il regime di conferimento degli incarichi è tale da schiacciarli in una stringente subalternità al vertice politico. La potenziale idoneità della dirigenza locale a valorizzare principi quali la professionalità e l’imparzialità è dimidiata dalla logica per la quale è preminente assicurare all’organo politico gli tutti gli strumenti per realizzare il programma elettorale
Nei piccoli comuni, la situazione è se del caso ancora più esasperata. Pur avendo anch’essi introiettato il principio di distinzione funzionale tra politica e amministrazione e, soprattutto, pur essendo essi gli enti della sussidiarietà burocratica (sebbene nei limiti costituzionali della differenziazione e dell’adeguatezza), questi comuni conferiscono incarichi dirigenziali a personale di gruppo “D” o, in mancanza “C” e “B”. Senza neppure la garanzia dello status professionale di dirigente, il legame tra organo politico e burocrate con funzioni direttive può farsi ancora più intenso, rendendo meramente ipostatico l’assetto di distinzione funzionale tra sindaco e apparato comunale. Per comprendere l’incidenza di questo fenomeno, basti pensare che, su 8.092 comuni in Italia, quelli di piccola dimensione sono 5.683: il 70,2 per cento del totale.”
“Nel complesso, tali esiti denunciano indubbiamente una miopia di fondo della classe politica nazionale. Questa continua a dimostrarsi incapace di concentrarsi sui grandi problemi strutturali della macchina amministrativa, che necessitano di interventi di lungo periodo; e preferisce, piuttosto, dedicare l’azione di governo a profili contingenti, che garantiscono ritorni immediati in termini di consenso.......
Vi è, dunque, l’assoluta necessità di una riforma puntuale, mirata a correggere davvero i limiti emersi in questi venti anni di mancata separazione tra politica e amministrazione. Non si tratta dell’ennesima riforma legislativa, ma di cambiare il modo di governare, ricorrendo anzi a meno leggi e interessandosi maggiormente della realizzazione degli obiettivi.”
La cosa che più stupisce è che le riforme attualmente in discussione vanno nella direzione opposta a quella che si auspica nello studio, cioè verso l'asservimento totale della dirigenza alla politica. Ricordiamo le parole del Ministro Madia: «Tra il modello dello spoils system e quello della dirigenza di ruolo, entrambi legittimi (???), noi scegliamo il primo – spiega il ministro – perché siamo convinti che una dirigenza forte possa fare da argine a tanti fenomeni, a partire dalla corruzione. Per riuscirci bisogna dare ai dirigenti gli strumenti per dire di no alla politica quando serve». Amen