L’articolo 5 del d. lgs 33/2013, come novellato dal d. lgs 97/2016, introduce nell’ordinamento italiano (a decorrere dallo scorso 23 dicembre) l’istituto dell’accesso civico generalizzato, sulla scorta dell’esperienza maturata nei paesi anglosassoni con il modello FOIA (Freedom of Information Act). Con tale disciplina si assicura la possibilità, per tutti i cittadini, di conoscere le informazioni, i dati e i documenti nella disponibilità delle amministrazioni e afferenti all’organizzazione e all’attività delle stesse, dati che potranno essere richiesti e appunto conosciuti nel rispetto dei limiti rivenienti dall’esigenza di tutelare interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, quali individuati espressamente ai commi 1 e 2 dell’art. 5 bis del decreto trasparenza (d. lgs. 33/2013). Lo scopo di questa breve disamina non è tanto quello di illustrare la disciplina relativa al c.d. accesso “aperto” ovvero generalizzato, ma è quello di comprendere il ruolo che la novella legislativa assegna in materia al giudice amministrativo: in particolare, ciò che si rivela di particolare interesse, in questa fase di prima attuazione del nuovo istituto, è provare a delineare, alla luce del dato normativo, quali soluzioni possono venire, in sede interpretativa, dal giudice amministrativo alle criticità che la norma indubbiamente pone quanto allo specifico profilo della tutela giurisdizionale nella particolare ipotesi in cui il cittadino non ottiene risposta alla sua istanza dall’amministrazione competente ovvero quando non abbia risposta neanche dal Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza investito della richiesta in sede di riesame, per come consentito dalla disciplina.