Il Consiglio di Stato, sez. I, con parere n. 2859 del 13/11/2019, emesso su ricorso straordinario presentato da un Assessore revocato, torna ad occuparsi degli atti di revoca degli Assessori comunali.
Il Consiglio di Stato ribadisce principi già espressi in più occasioni dal giudice amministrativo, in ordine alla natura amministrativa e non politica dei provvedimenti di revoca degli assessori e sulla necessaria motivazione, anche sintetica, degli stessi.
In altra sede (Vademecum dell'Amministratore locale, II edizione, pag. 71 e seguenti) si è avuto modo di scrivere "come sia assolutamente necessario, ai fini della legittimità del provvedimento di revoca, che quest’ultimo sia motivato, anche se la motivazione può basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa. Ciò in quanto il provvedimento è sindacabile in sede giurisdizionale per profili formali o in caso di evidente arbitrarietà. Gli atti di nomina e di revoca degli assessori comunali non rientrano nella categoria degli “atti politici”, come tali sottratti al sindacato di legittimità, ma mantengono la natura di atti amministrativi pur essendo denotati da ampia discrezionalità, non diversamente dai c.d. “atti di alta amministrazione”. Essi sono quindi sottoponibili al sindacato giurisdizionale in ossequio alla norma generale di cui all’art. 113 Cost., quantomeno entro gli stretti ambiti di un giudizio di non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà.
• la totale assenza della motivazione;
• la motivazione non aderente alla situazione di fatto accertata nel corso del giudizio;
• l’eccesso di potere, sotto il profilo della illogicità e/o irragionevolezza del provvedimento impugnato".
Nel parere n. 2859/2019 si legge in particolare che il Consiglio di Stato ha infatti affermato ripetutamente (da ultimo: V, sentenza 19 gennaio 2017 n. 215, che a sua volta richiama V, 5 dicembre 2012 n. 6228) che “il provvedimento di revoca dell’incarico di un singolo assessore [previsto] dall’art. 46, comma 4, del testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000 può basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa rimesse in via esclusiva al Sindaco, e segnatamente anche su ragioni afferenti ai rapporti politici all’interno della maggioranza consiliare e sulle sue ripercussioni sul rapporto fiduciario che deve sempre permanere tra il capo dell’amministrazione e il singolo assessore.”. E la sentenza ivi richiamata specifica che “la motivazione dell'atto di revoca può anche rimandare esclusivamente a valutazioni di opportunità politica e il sindaco ha solo l'onere formale di comunicare al Consiglio comunale la decisione di revocare un assessore, visto che è soltanto quest'ultimo organo che potrebbe opporsi, con una mozione di sfiducia, all'atto di revoca.”
In sostanza, dunque, anche il provvedimento sindacale di revoca dell’assessore soggiace all’obbligo generalissimo di motivazione posto dall’art. 3 della legge n 241/1990 (con la sola eccezione degli atti normativi e di quelli a contenuto generale). Obbligo che, per le ragioni richiamate sopra e condivise dalla Sezione, può essere adempiuto anche mediante una sintetica motivazione riferita al venir meno del rapporto fiduciario fra sindaco e assessore, ciò che tuttavia, nel caso di specie, non è avvenuto.
“Non può quindi condividersi l’assunto del Ministero circa la natura politica dell’atto di revoca e la conseguente assoluta inesistenza dell’obbligo di motivazione che, a ben vedere, non è affermato neppure dal precedente richiamato dalla relazione ministeriale (recte Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 4970/2013 del 24/12/2013)”.
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