Da qualche tempo il nostro ordinamento giuridico (che vanta un passato glorioso) è stato oggetto, anch’esso, di interventi finalizzati alla omologazione con i sistemi anglosassoni. Uno di questi ha riguardato l’introduzione del “soft law”. Si tratta di un termine inglese che il dizionario Treccani definisce come “sistema di regole che si connota essenzialmente per il fatto di non essere caratterizzato dai tratti forse più tipici e ricorrenti della norma giuridica: l’essere parte di un ordinamento giuridico e l’essere dotata di una qualche forza vincolante o precettiva”, aggiungendo che “in ogni caso, le regole di s. l. non costituiscono l’esito di una formale procedura di produzione normativa attivata da un ordinamento giuridico e dunque è seriamente dubitabile che di esse possa predicarsi una qualche forma, sia pur sfumata e generica, di giuridicità, anche perché, in stretta relazione con l’estraneità a qualsiasi profilo di validazione normativa dei pur diversi sistemi di fonti del diritto, le regole in questione non impongono soluzioni vincolanti ma suggeriscono la possibile composizione di ipotetici conflitti di interessi facendo affidamento sulla spontanea adesione dei soggetti ai quali tali regole potrebbero giovare nel reperimento di una soluzione più opportuna o adeguata”.
Inizia così l'articolo di Santo Fabiano dal titolo La funzione e la cogenza delle linee guida di ANAC.
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