Il rinnovo del contratto del pubblico impiego potrebbe riguardare solo un terzo dei dipendenti, circa 800mila. L'ipotesi a cui lavora il governo è infatti quella di concentrare le poche risorse disponibili sui redditi più bassi. Intanto, si intravede comunque una prima schiarita. Già la prossima settimana, o comunque entro metà giugno, il Cdm dovrebbe ratificare definitivamente i nuovi comparti del pubblico impiego e aprire la strada al rinnovo dei contratti.
Numeri alla mano l'aumento del salario sarebbe comunque particolarmente contenuto e potrebbe lasciare a bocca asciutta una fetta consistente di lavoratori della Pa. Il governo infatti, come affermato dal ministro Marianna Madia, è orientato a concentrare i 300 milioni stanziati nella legge di stabilità sugli stipendi più bassi. In pratica, secondo i calcoli riportati da fonti sindacali all'Adnkronos, su 3 milioni di dipendenti il rinnovo potrebbe interessare meno di un terzo, circa 800 mila, cioè quelli con un reddito fino a 26mila euro.
Una ipotesi, quella dell'esecutivo di escludere una parte consistente di lavoratori pubblici dal rinnovo, fortemente contrastata dai sindacati. "Per noi la questione delle risorse è pregiudiziale, se vengono date solo ai redditi più bassi la contrattazione parte male" dichiara all'Adnkronos Serena Sorrentino, segretario confederale della Cgil. "Gli aumenti sui minimi tabellari devono riguardare tutti i dipendenti pubblici" rincara la sindacalista, facendo riferimento alla sentenza della Consulta e all'influenza del blocco dei contratti per 7 anni sul potere d'acquisto. Anche se le quote di salario potranno essere diversificate, secondo la Cgil, "i criteri vanno stabiliti nella contrattazione - avverte Sorrentino - basta con gli atti unilaterali, si avviino i tavoli di discussione, si utilizzi lo stesso metodo che si sta adoperando per le pensioni".
Antonio Foccillo, segretario confederale della Uil, è sul piede di guerra. "Non accetteremo mai aumenti solo ai redditi più bassi, come annuncia Madia - sostiene - in 7 anni i sacrifici li hanno fatti tutti". La Uil, tra l'altro, martedì prossimo, il 7 giugno, ha indetto un attivo dei quadri e dei delegati del pubblico impiego per avanzare proposte ed eventualmente programmare qualche ulteriore mobilitazione. Del resto per i sindacati la coperta è molto corta solo 300 milioni per i rinnovi nel 2016, considerando anche il periodo che va da luglio a dicembre 2015, come stabilito dalla Consulta.
Oltre al tema delle risorse i sindacati criticano il ministro della Pa per i tempi eccessivamente lunghi. Sono passati due mesi infatti, dalla firma dell'accordo raggiunto all'Aran, il 4 aprile, sulla riduzione a 4 dei comparti. Il testo, che ha ricevuto il via libera dal Mef nei giorni scorsi, dopo il via libera del Cdm dovrà passare al vaglio della Corte dei Conti e tornare di nuovo in Aran per la sottoscrizione definitiva tra le parti. Se tutto filerà liscio, l'avvio del negoziato per il rinnovo del contratto del pubblico impiego potrebbe avvenire entro luglio. Un tempo biblico per i sindacati che intanto hanno indetto una serie di scioperi regionali della funzione pubblica e si dichiarano pronti a nuove mobilitazioni. "Non capisco perché -sottolinea Foccillo- si perda tanto tempo se l'accordo è voluto dalla legge".
Insiste sullo stesso tasto anche Maurizio Bernava, segretario confederale della Cisl. "Stiamo sollecitando affinché si discuta nel merito ma il ministro Madia sta perdendo tempo. I lavoratori pubblici, anche nell'interesse del Paese, hanno diritto a partecipare ai processi di riorganizzazione e di avere un recupero dei salari". Per il sindacalista Cisl comunque il rischio è che ci sia un aumento della conflittualità. "Noi andremo al confronto con spirito aperto e consapevole ma il ministro non deve perdere tempo", ribadisce Bernava.
Il timore che l'atto di indirizzo possa riservare spiacevoli sorprese, calate dall'alto, è condiviso anche da Michele Gentile, responsabile dei settori pubblici di Cgil. "Rimane il problema di sapere cosa ci sarà scritto nell'atto di indirizzo, dovrebbe riportare alla contrattazione aspetti che oggi sfuggono, dalla mobilità alla produttività, al salario accessorio".
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