L’accesso generalizzato – introdotto dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 – ha la sua ratio nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
Ad avviso del Tar Lombardia, posta questa finalità, l’istituto, che costituisce uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa (cfr. art. 1, d.lgs. n. 33 del 2013, come modificato dall’art. 2, d.lgs. n. 97 del 2016), non può essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’amministrazione.
La valutazione dell’utilizzo secondo buona fede va operata caso per caso, al fine di garantire – in un delicato bilanciamento – che, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, dall’altro lo stesso non determini una sorta di effetto “boomerang” sull’efficienza dell’Amministrazione.
Fonte: Giustizia amministrativa.
Qui il link alla sentenza Tar Lombardia-Milano, sez. III, 11 ottobre 2017, n. 1951.
Nello stesso senso si è espresso il TAR Veneto con sentenza n. 607 del 29/06/2017, nella quale ha affermato che "l’accesso civico, pur segnando il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere (from need to right to know, nella definizione inglese F.O.I.A), come ogni altra posizione giuridica attiva, non può essere esercitata dal suo titolare con finalità emulative o con modalità distorte e abusive".
Per approfondimenti sull'accesso civico si veda il precedente post L’applicazione dell’accesso civico generalizzato ed i documenti ivi richiamati.
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