Dal resoconto di seduta di seguito si riporta l'intervento della Senatrice Angelica Saggese oggi in Senato sul DDL 1577 di riorganizzazione della pubblica amministrazione.
Signora Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, siamo chiamati oggi ad esaminare uno dei provvedimenti più importanti, ed al contempo più complessi ed ambiziosi, dell'intera legislatura. Nel corso della sua relazione, tenuta in quest'Aula qualche giorno fa, il collega Pagliari ha richiamato un paradosso ricorrente: come si può pretendere di riformare, con esito positivo peraltro, la macchina amministrativa italiana, se in questa impresa si sono già cimentati tanti illustri predecessori? Come si può pensare di riuscire a conseguire i risultati che neppure i maggiori esperti - ad esempio Massimo Severo Giannini, il più illustre amministrativista italiano del dopoguerra - sono riusciti a conseguire?
La domanda è sicuramente legittima. La riforma della pubblica amministrazione, ne siamo pienamente consapevoli, non è cosa semplice, eppure è necessario intervenire per tentare di rende più snella ed efficiente la nostra burocrazia.
Varie sono le ragioni che inducono a questa riflessione. Innanzitutto, è indispensabile eliminare gli sprechi e ridurre le inefficienze, ritengo, al fine di rendere effettivo il conseguimento dei tre parametri ottimali che devono connotare l'attività dei pubblici poteri, parametri che sono stati richiamati in alcuni degli interventi svolti prima del mio. Mi riferisco all'efficacia dell'azione rispetto agli obiettivi prefissati, all'efficienza nell'uso delle risorse impiegate, siano esse risorse umane o no, e all'economicità, intesa come attitudine a conseguire efficacemente i risultati mediante un utilizzo efficiente delle risorse disponibili.
È solo con una riforma della pubblica amministrazione che tenda a rendere la sua azione aderente alle famose «tre e» che è possibile giungere ad un significativo taglio della spesa pubblica superflua di cui tutti parliamo che permetterà di conseguire non soltanto l'avanzo primario di bilancio, ma addirittura una graduale riduzione del debito pubblico e ancora, sicuramente, la riduzione del carico fiscale che grava su imprese e famiglie, per favorire in tal modo una ripresa dei consumi e un conseguente incremento del prodotto interno lordo.
Risulterebbe, tuttavia, poco lungimirante e del tutto pericolosa un'operazione che tendesse a perseguire questi obiettivi riducendo i servizi offerti ai cittadini: la riduzione della spesa pubblica si tradurrebbe così soltanto in un decremento dei servizi a scapito della collettività e inciderebbe gravemente sugli standard sinora assicurati alla popolazione. L'obiettivo, invece, è e deve essere alleggerire il peso della burocrazia senza ridurre i servizi, rendendoli, al contrario, maggiormente efficienti e meno costosi. L'obiettivo a lungo raggio, in altri termini, è quello di inverare il primo comma dell'articolo 97 della Costituzione, così come recentemente modificato: far sì che le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento europeo, assicurino l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
Vi sono anche altre motivazioni che spingono verso una radicale riforma della pubblica amministrazione. Anzitutto, occorre superare le vecchie logiche, fortemente radicate nel nostro Paese, improntate al clientelismo e all'assistenzialismo, per cui un impiego massiccio di risorse umane all'interno della pubblica amministrazione è divenuto quasi un surrogato degli ammortizzatori sociali, soprattutto nel Meridione.
Occorre, ancora, sradicare il tarlo della corruzione, che sempre più connota l'attività dei pubblici poteri. Trasparenza, efficienza e meritocrazia devono essere le linee guida di una nuova e rinnovata pubblica amministrazione, che sia improntata al buon andamento, come impone la Costituzione stessa, e sia rivolta all'interesse del cittadino, come suggeriscono la logica ed il buon senso.
La delega che attribuiamo al Governo con questo provvedimento è sicuramente ampia ed interviene su diverse direttrici, anche alla luce delle modifiche apportate nel corso del proficuo lavoro svolto dalla Commissione affari costituzionali: dalla Carta della cittadinanza digitale al riordino della disciplina della conferenza dei servizi, dal silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche alla segnalazione certificata di inizio attività, dalle norme in materia di autotutela a quelle in materia di prevenzione della corruzione.
Centrali, nell'economia del provvedimento in esame, sono poi le disposizioni in materia di riorganizzazione degli uffici e del personale della pubblica amministrazione, che mirano ad una generale razionalizzazione degli uffici e del personale dell'amministrazione centrale e periferica, con un conseguente riordino di strutture e funzioni.
Sul tema, tengo a porre l'attenzione sul nuovo articolo 9 del disegno di legge, che detta norme sull'ordinamento della dirigenza. Il primo comma prevede, in particolare, l'istituzione del ruolo della dirigenza pubblica, articolata in ruoli unificati e coordinati, accomunati da requisiti omogenei di accesso e da procedure di reclutamento improntate non soltanto al merito, ma anche alla formazione e all'aggiornamento continuo.
L'obiettivo dichiarato è quello di avere una dirigenza di alto livello professionale, reclutata in modo trasparente e sulla base di criteri meritocratici, che sappia anche e soprattutto adeguarsi ai continui e repentini mutamenti in atto nella società odierna, in modo da evitare il perpetrarsi di quel tipico iato esistente tra pubblica amministrazione e società.
La previsione di tre ruoli dirigenziali (dirigenti dello Stato, delle Regioni e degli enti locali), della piena mobilità tra gli stessi e dell'eliminazione della distinzione in fasce, unitamente alla previsione di nuove regole di accesso alla dirigenza improntate ad una selezione competitiva e meritocratica, consentono sicuramente di perseguire l'obiettivo di arricchire l'amministrazione di competenze maturate su diversi livelli di Governo. L'esigenza, poi, di evitare incarichi a vita, che hanno caratterizzato soprattutto il passato meno recente, è garantita dalla previsione di incarichi di durata triennale, con possibilità di rinnovo, e dalla correlata possibilità di revoca dell'incarico, in presenza di appositi presupposti oggettivi che consentano di evitare un assoggettamento dei dirigenti agli organi elettivi. Occorre assicurare, anche quale antidoto alla corruzione, che la dirigenza pubblica, pur nel rispetto delle competenze e delle specializzazioni acquisite, possa e debba ruotare negli incarichi.
In questo contesto si inseriscono anche le norme in materia di segretari comunali e provinciali. In linea con quanto stigmatizzato nel testo approvato dalla Commissione, ritengo che l'abolizione tout court della figura dei segretari sarebbe di per sé priva di logica. Si tratta, infatti, di una figura di primo piano nel quadro dell'attività amministrativa dell'ente locale, chiamata a svolgere funzioni di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa in relazione alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi dello Stato, allo statuto ed ai regolamenti dell'ente. L'assenza di tale figura rappresenterebbe un forte vulnus rispetto alla necessità di garantire il buon andamento dell'attività amministrativa e il buon funzionamento degli organi, nell'attuazione del principio di separazione dei poteri tra politica e amministrazione. Si tratta di un ruolo delicato, tecnico e di responsabilità per garantire la correttezza e la legittimità degli atti della pubblica amministrazione.
Per tali ragioni, la proposta approvata dalla Commissione affari costituzionali (e a proposito voglio ringraziare il Ministro, il Sottosegretario, il relatore e tutti i componenti della Commissione stessa per l'ampia disponibilità e sensibilità mostrate sul tema) stabilisce che l'abolizione della figura del segretario comunale sia adeguatamente bilanciata con la previsione di un obbligo, in tutti gli enti locali, di una figura apicale con compiti di attuazione dell'indirizzo politico, di coordinamento dell'attività amministrativa e di controllo della legalità dell'azione amministrativa: direi un punto fermo importante nell'assetto organizzativo dell'ente locale. Ora occorre - mi auguro nel prosieguo dell'iter parlamentare del provvedimento - fissare ulteriori paletti per garantire la piena autonomia e indipendenza di tale figura apicale, soprattutto nella logica del rafforzamento della funzione di prevenzione della corruzione già assegnata con la legge n. 190 del 2012. Ritengo altresì necessario prevedere criteri oggettivi di valutazione dei requisiti professionali ed attitudinali per lo svolgimento di tale importante compito, al fine di garantire sempre la terzietà di tale figura professionale nel contemperamento tra l'attuazione dell'indirizzo politico, fissato dal vertice politico dell'ente locale, e il perseguimento della legalità e della correttezza dell'azione amministrativa, nell'interesse dei cittadini e dello Stato stesso.
Sono certa che con il contributo di tutto il Parlamento si potrà rafforzare l'equilibrio nel delicato passaggio tra il precedente ed il nuovo assetto della pubblica amministrazione, di cui il Paese ha tanto bisogno. (Applausi dal Gruppo PD).
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