Il Ministero dell'Interno ha reso in data 11 novembre 2014 un parere (Class. n.15900/TU/00/63) in merito all'incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 nei confronti di un consigliere comunale, rappresentante legale di una ditta risultata aggiudicataria di una gara di appalto, indetta dall’ente prima della proclamazione dell’elezione alla carica in questione.
Il Ministero dell'Interno ha affermato l'esistenza dell'incompatibilità sulla base delle seguenti motivazioni.
Al riguardo, si evidenzia che, come chiarito in giurisprudenza, le cause di incompatibilità di cui all’art. 63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ascrivibili al novero delle c.d. incompatibilità d’interessi, hanno la finalità di impedire che possano concorrere all’esercizio delle funzioni di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli dell’istituzione locale o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l’imparzialità (cfr. Corte costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997, n. 44; Id., sentenza 24 giugno 2003, n. 220).
In particolare, l’ipotesi di incompatibilità prevista dal comma 1, n. 2, del menzionato art. 63, è ravvisabile in presenza di un duplice presupposto: il primo di natura soggettiva ed il secondo di natura oggettiva.
Sul piano soggettivo, è necessario che l’interessato rivesta la qualità di “titolare” o di “amministratore” ovvero di “dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento”. L’ampia formulazione usata dal legislatore, per un verso, indica che le predette qualità soggettive devono risolversi in poteri di gestione e/o decisione relativamente all’appalto di che trattasi; per altro verso, legittima il ricorso ad una eventuale interpretazione estensiva della disposizione.
Dal punto di vista oggettivo, l’amministratore locale, rivestito di una delle citate qualità, in tanto può considerarsi incompatibile, in quanto abbia parte in appalti nell’interesse del comune. L’espressione “avere parte” allude ad una situazione di potenziale conflitto del soggetto titolare dell’interesse particolare rispetto all’esercizio imparziale del mandato. Ne discende che la nozione di partecipazione deve assumere un significato il più possibile esteso e flessibile, al fine di potervi ricomprendere forme di partecipazione eterogenee, e che è irrilevante la natura, pubblicistica o privatistica, dello strumento prescelto dall’ente locale per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali.
In altri termini e a titolo esemplificativo, se un imprenditore ha parte, nel senso sopra indicato, in un appalto, al quale l’ente è interessato, lo stesso non è idoneo, secondo la previsione tipica del legislatore, ad adempiere imparzialmente i doveri connessi all’esercizio del mandato elettorale (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 22 dicembre 2011, n. 28504; Id., sentenza 16 gennaio 2004, n. 550; Id., sentenza 8 agosto 2003, n. 11959; Id., sentenza 17 aprile 1993, n. 4557).
La giurisprudenza ha anche precisato che «la partecipazione all’appalto, quale impedimento all’esercizio della carica elettiva, dura nel tempo fintantoché essa possa dirsi sussistente: vale a dire, dal momento iniziale della partecipazione stessa e sino al suo “esaurimento” e, quindi, all’esaurimento del potenziale conflitto d’interessi; e ciò, restando salva, ovviamente, la facoltà del soggetto incompatibile di rimuovere la relativa causa nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge» (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 8 agosto 2003, n. 11959).
Alla luce delle su esposte considerazioni, si ritiene che, nel caso di specie, sia del tutto irrilevante il momento iniziale della procedura ad evidenza pubblica e che sia ravvisabile la prospettata situazione di incompatibilità, fintantoché perdura la partecipazione dell’interessato all’appalto di che trattasi.
Di quanto precede si prega di voler fare comunicazione all’amministrazione comunale interessata.
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