La rivista on line ildirittoamministrativo.it ha segnalato l'ordinanza del TAR Campania - Napoli, Sez. I, n. 1801 del 30 ottobre 2014, con la quale i giudici amministrativi campani hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 11, c. 5, Dlgs. n. 235/12, riguardante la sospensione dalla carica di Sindaco.
Si rammenta che il D. Lgs n. 235/12, Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, è stato emanato sulla base della delega contenuta nell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190.
Questa la segnalazione a cura della rivista ildirittoamministrativo.it:
Con la pronuncia in epigrafe i Giudici campani affrontano le numerose censure, sia sotto il profilo di legittimità costituzionale che sotto l’aspetto della legittimità, riguardanti la sospensione dalle cariche elettive – di cui all’articolo 11 del D. Lgs n. 235/12 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), applicato nel caso in esame ai danni del Sindaco della città di Napoli.
Peraltro, in primo luogo risolvono la preliminare questione di giurisdizione, ravvisando nell’avvenuta compressione del diritto di elettorato passivo rango di interesse legittimo. Infatti, avendo superato la ritenuta natura vincolata dell’attività con cui il Prefetto avrebbe disposto la sospensione quivi censurata, il Collegio partenopeo vi scorge, semmai, natura provvedimentale.
Si tratta, infatti, di un’attività di verifica circa la sussistenza delle condizioni che la legge, nel caso di specie il D. Lgs del 2012, statuisce in vista dell’effetto finale. Applicando tali coordinate alla vicenda in esame, il Prefetto di Napoli avrebbe vagliato l’esistenza delle circostanze che, ope legis, parrebbero procurare la sospensione dalle cariche elettive.
Ne consegue, quindi, una compressione del diritto, di cui all’articolo 51 della Costituzione, derivata dall’immanenza di un potere autoritativo, con la conseguente spettanza alla giurisdizione amministrativa generale di legittimità.
Acclarata la questione anche sotto il profilo della competenza territoriale, correttamente adita in ambito campano, il Collegio prosegue ad esaminare gli altri aspetti sottolineati dal ricorrente/Sindaco sospeso.
Questi, anzitutto, pone in discussione la legittimità del provvedimento prefettizio di sospensione sotto due aspetti.
In primo luogo, il ricorrente lamenta l’avvenuta emissione dello stesso sulla base di un atto differente da quello che avrebbe dovuto costituirne il presupposto. Il Sindaco partenopeo, infatti, sarebbe stato rimosso dal mandato per effetto di un dispositivo di sentenza, atto che non figura tra i provvedimenti giudiziari che l’articolo 125 c.p.p. circoscrive, invece, alle sole categorie della sentenza, dell’ordinanza e del decreto. Tanto è vero, come si legge in ricorso, che il Prefetto, per accertare la sussistenza di quelle imputazioni ai sensi dell’art. 323 c.p. la cui condanna è stata causa di sospensione, ha dovuto richiamare il decreto che dispone il giudizio, atto ben distinto dalla sentenza.
Una questione simile, prosegue il ricorrente, non sarebbe di ordine meramente formale, dal momento che la conformazione strutturale e la caratterizzazione funzionale del procedimento disciplinato dall’articolo 11 del D.lgs. 31 dicembre 2012 n. 235 tendono al raggiungimento di un punto di equilibrio tra la tutela dei diritti di elettorato attivo e passivo e la salvaguardia di valori costituzionali volti ad assicurare l’idoneità morale dei pubblici amministratori, proprio attraverso l’emanazione di una sentenza, la pubblicazione della cui motivazione costituisce il primo momento dal quale sarebbe possibile per l’autorità competente verificare la sussistenza della causa di sospensione dalla carica pubblica.
Da qui ne discenderebbe il secondo motivo di sospetta legittimità, ritenendo carente la motivazione dell’atto prefettizio; del resto, insiste il ricorrente, le cause di sospensione sono state rintracciate in un atto diverso dalla sentenza di condanna, come invece previsto dalla norma.
Le censure appena descritte, tuttavia, “cedono il passo” – per ragioni di pregiudizialità logica, alla verifica circa la rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 10 e 11 del D.lgs. 31dicembre 2012 n. 235 – come sollevate da parte ricorrente; ove fondate, infatti, queste si rivelerebbero decisive ai fini dell’esercizio stesso del potere di sospensione, già esercitato, a prescindere, cioè, dal positivo accertamento di condizioni patologiche direttamente ascrivibili al decreto prefettizio di sospensione.
Il Collegio, passando in rassegna i quattro motivi di dubbia legittimità costituzionale dell’articolo 11 – 5’ co. del D. Lgs n. 235/12, ne accoglie solamente uno, decidendo di sospendere il giudizio in esame, rimetterne gli atti ai Giudici della Consulta e, nelle more, concedere una misura cautelare interinale al ricorrente.
Più nel dettaglio, il Giudice territoriale oltrepassa, statuendone la manifesta infondatezza, le doglianze riguardo ad un possibile superamento della legge delega.
In particolare, con riguardo all’articolo 1, comma 64, lettera h) della legge 6 novembre 2012 n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalita') nella pubblica Amministrazione, laddove la sospensione dal mandato di Sindaco sembrerebbe stata disposta, in origine, limitatamente ad ipotesi delittuose gravi, per nulla assimilabili a quella occorsa nel caso specifico. Parimenti infondata, del resto, la ritenuta violazione del principio di proporzionalità: la causa di sospensione ravvisata in tale episodio risponde, comunque, ad ipotesi di indegnità morale che, sebbene differenti sotto il profilo del limite edittale rispetto a quelle designate dal Legislatore del 2012, parrebbero presentare la medesima sintomaticità indiziaria e procurare, pertanto, il medesimo effetto sospensivo.
Il Collegio partenopeo, invece, valuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta relativamente ai profili temporali di applicazione della norma di cui all’articolo 11 del D.lgs. 31 dicembre 2012 n. 235.
Il ricorrente ha lamentato, infatti, l’applicazione retroattiva della disposizione appena richiamata, a dispetto delle previsioni di cui all’articolo 11 delle Preleggi e dell’articolo 25 – 2’ co. della Costituzione che negano, entrambe, la possibilità che una norma di legge retroagisca, a maggior ragione quelle aventi “natura punitiva”, quindi di matrice penalistica, come quella in esame.
Ad avviso del ricorrente, in sostanza, la violazione del principio di irretroattività si sarebbe verificata sia con riferimento alla sua qualità di soggetto candidato, sia come incidente sulla sua attuale carica di Sindaco, la cui sospensione dalle funzioni sarebbe da qualificarsi come incandidabilità sopravvenuta.
Invero il Collegio non condivide del tutto quest’ultimo assunto, in considerazione del fatto che, valutati i fatti occorsi, quel che è oggetto di sospensione non è la candidabilità o meno del ricorrente ma, più che altro, la relativa permanenza in un incarico i cui effetti si sono già verificati.
Nel caso di specie, infatti, il provvedimento prefettizio impugnato costituisce espressione del potere di rilevazione di una causa ostativa alla prosecuzione dell’esercizio della carica di Sindaco, senza alcuna riferibilità anche alla presupposta e ormai superata qualità di candidato del ricorrente, la cui funzione ha da tempo esaurito i suoi effetti, evolutisi e confluiti nell’esito a lui favorevole della competizione elettorale. I Giudici evidenziano, infatti, cheviene, dunque, rispettato in pieno il tempus regit actum, oltrechè la dovuta sequenza procedimentale prevista per il procedimento elettorale.
Pertanto, nessuna sopravvenienza, né retroattività di norma sfavorevole; quel che è accaduto, nel caso concreto, è il profilarsi di una causa di sospensione, peraltro espressamente prevista dal Legislatore delegato del 2012, rispetto ad una ben precisa fase storica del procedimento elettorale, riguardo alla quale le situazioni giuridiche sono già definite e consolidate.
E’ condivisa, invece, la doglianza circa l’applicazione retroattiva della norma sospensiva – voluta nel 2012. Quest’ultimo effetto, peraltro conseguito anche a seguito di sentenza non definitiva, ha, indubbiamente, natura sanzionatoria; come tale, a maggior ragione non se ne comprende l’avvenuta retroazione.
E’ certo, infatti, che la sospensione di un amministratore da una carica per un fatto storicamente anteriore rispetto alla sua elezione, così come anteriore ne è il provvedimento giudiziario che a questo dà rilevanza, costituisca, oggettivamente, applicazione retroattiva della norma.
Il Collegio campano non comprende, pertanto, la ratio della compromissione di diritti di pari rango, quale quella avvenuta nell’ipotesi odierna.
A fronte della necessità di salvaguardare la dignità di chi ricopre cariche elettive - secondo il tenore del Legislatore del 2012, si riscontra, al tempo stesso, la disciplina del diritto di elettorato passivo – limitatamente al quale l’articolo 51 della Costituzione ha assegnato al Legislatore la delimitazione dei relativi spazi di estensione. Il tutto, come è naturale e come i Giudici campani adeguatamente ricordano, nei limiti fisiologici entro i quali alla legge stessa è consentito operare, cioè non retroattivamente.
Di conseguenza, il Collegio, condividendo la censura mossa dal ricorrente, ravvisa un dubbio di legittimità costituzionale riguardo a tale parte della norma.
L’avvenuto sbilanciamento in favore della previsione normativa del 2012, che prevede una simile misura cautelativa di salvaguardia della moralità dell’Amministrazione pubblica, al punto da anticiparla ad un provvedimento giurisdizionale non ancora definitivo, sembra contrapporsi ai comuni limiti del Legislatore ordinario in tema di gestione dell’elettorato passivo e relative delimitazioni temporali.
Pertanto, il Collegio ritiene necessario sottoporre alla Corte Costituzionale questione incidentale di legittimità costituzionale, rilevante ai fini della definizione del giudizio a quo, dell’articolo 11, primo comma, lettera a) del D.lgs. 31 dicembre 2012 n. 235, in relazione all’articolo 10, primo comma lettera c) del medesimo Decreto legislativo.
L’avvenuta applicazione della norma, realizzata avvalendosi - quali presupposti - di fatti appartenenti al passato, produce un indubbio vulnus ai parametri costituzionali di cui agli articoli 2, 51 e 97 della Costituzione.
Pertanto, ai sensi dell’articolo 23, secondo comma della legge 11 marzo 1953 n. 87 (Norme sulla Costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale), il giudizio è sospeso fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità appena descritto.
Nelle more, al fine di garantire pienezza ed effettività alla tutela giurisdizionale costituzionalmente siglata all’articolo 24, il Collegio campano predispone, a favore dell’odierno ricorrente, una misura cautelare "interinale", fino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale.
In argomento si veda anche G. Virga Destini incrociati (a proposito del caso De Magistris e quello di Berlusconi)
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