Capita sempre più spesso di vedere la pubblicazione di avvisi con i quali enti pubblici, soprattutto Comuni, indicono gare per l’affidamento di incarichi difensivi agli avvocati. Lo schema che va per la maggiore negli ultimi tempi è quello che prevede una prima fase di richieste di disponibilità per essere inseriti in un elenco di avvocati di fiducia dell’ente, suddiviso eventualmente per settore di competenza e una seconda nella quale, a un certo numero di professionisti iscritti in questo elenco viene richiesto di formulare un preventivo dell’onorario per la singola causa. L’ente poi assegna l’incarico al miglior prezzo, quindi con quello che nel settore degli appalti è il criterio del massimo ribasso. La diffusione di questa impostazione, che in sostanza equipara le attività degli avvocati a qualsiasi altra prestazione di servizi o commerciale, è cresciuta dopo l’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti, che, ad avviso di alcuni primi e frettolosi interpreti, avrebbe sì testualmente (articolo 17, comma 1, lettera d) del Dlgs 50/2016) inserito questi mandati difensivi tra gli appalti esclusi, ma nel contempo opererebbe il richiamo dell’articolo 4 ai principi generali, relativi all’affidamento di contratti pubblici, e quindi, in sostanza, a quello della gara, o della “mini gara”, come qualcuno ha suggerito.
Inizia così l'editoriale di Umberto Fantigrossi Presidente dell’Unione nazionale avvocati amministrativisti pubblicato sul n. 48 della rivista Guida al diritto dal titolo Pa e mandati difensivi, il “vicolo cieco” del ricorso alla gara.
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