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domenica 17 gennaio 2016

La 'cultura del whistleblower' quale strumento di emersione dei profili decisionali della pubblica amministrazione

L’origine del termine whistleblower è certamente significativa, designandosi con esso il bobbies inglese che soffia nel proprio fischietto per richiamare l’attenzione e fare fuggire i malintenzionati. Letteralmente, dunque, il whistleblower è il soffiatore nel fischietto, e cioè colui il quale “spiffera” al proprio “capo” i comportamenti illeciti dei propri colleghi. È, in estrema sintesi, volendo guardare al lato nobile della spiata, colui che ha il coraggio di denunciare atti corruttivi o irregolarità, chiedendo di mantenere segreta la propria identità al fine di evitare successive ritorsioni o emarginazioni. 
Il whistleblower denuncia ma, al contempo, chiede di essere tutelato, rompendo quel “muro” di solidarietà fra colleghi: proteggere per evitare che i singoli funzionari non corrotti si sentano isolati ed evitare, così, che si crei un meccanismo di assorbimento implicito di essi all’interno del ciclo corruttivo e che, con il loro silenzio, possano finire per essere collusi essi stessi al sistema partecipando all’occultamente dei profili decisionali della amministrazione.
Inizia così l'articolo di Giacomo Gargano dal titolo La 'cultura del whistleblower' quale strumento di emersione dei profili decisionali della pubblica amministrazione pubblicato sulla rivista on line federalismi.it
In argomento si vedano su questo blog:

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