Non sempre l'atto di nomina di una commissione di concorso che prevede al suo interno un soggetto che ricopre cariche politiche, sindacali o professionali è illegittimo: il principio di imparzialità dalla partecipazione alle commissioni di concorso dei titolari delle citate cariche non è ancorato al possesso della mera posizione/qualifica soggettiva degli stessi, ma quanto alla possibilità (garantita dalla carica posseduta) di influire, nell'esercizio dei poteri/prerogative a quella connessi, sulla attività dell'ente che indice la selezione.
E' questo il fondamentale principio contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato n. 796 del 31 gennaio 2020.
Questi i passaggi principali della sentenza:
"Pertanto, nel caso esaminato e in senso opposto a quanto affermato dal giudice di primo grado, un dirigente sindacale che esercita la sua funzione rappresentativa in un diverso ambito territoriale - seppur adiacenti - stante la ristrettezza della comunità di influenza sindacale, può essere legittimante nominato componente di una commissione di concorso.
"Come condivisibilmente affermato da Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5947 dell’11 dicembre 2013, “l’interpretazione di questa normativa (il citato art. 9, comma 2, D.P.R. n. 487/1994, n.d.e.) comporta la ponderazione dei due principi dell’imparzialità dell’azione amministrativa e della possibilità di accesso per tutti i cittadini agli uffici pubblici, essendo necessario, perché il primo principio sia garantito senza sacrificio ingiustificato del secondo, il ricorso a criteri puntuali per l’applicazione dei divieti di partecipazione alle commissioni di concorso (Sez. VI, 1 giugno 2010, n. 3461; Sez. V, 27 luglio 2002, n. 4056)”.
I “criteri puntuali” per l’applicazione del divieto sono stati appunto enucleati dalla medesima giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Sez. V, n. 6526 del 21 ottobre 2003) nel senso che “occorre che vi sia comunque un qualche elemento di possibile incidenza tra l’attività esercitabile da colui che ricopre cariche politiche, sindacali o professionali e l’attività dell’ente che indice il concorso, altrimenti la disposizione verrebbe a generalizzare in modo eccessivo e senza adeguata giustificazione il sospetto di imparzialità anche nei confronti di soggetti che non gestiscano alcun potere rilevante e perciò non siano comunque idonei, sia pure da un punto divista astratto, a condizionare la vita dell’ente che indice la selezione. Detto elemento di collegamento, in mancanza di criteri legali, può essere rinvenuto nella sfera di influenza dell’attività svolta dal soggetto ricoprente cariche politiche, sindacali o professionali, per cui se questa in astratto è idonea a riverberare i suoi effetti anche sull’ente che indice la selezione, l’incompatibilità deve ritenersi sussistente, altrimenti deve escludersi, salva la deducibilità delle ipotesi di cui all’art. 51 c.p.c. o del vizio di eccesso di potere sotto i diversi profili consentiti”.
Dalla disamina della giurisprudenza citata si evince quindi che il vulnus potenzialmente arrecato al principio di imparzialità dalla partecipazione alle commissioni di concorso dei titolari di cariche politiche/sindacali non è ancorato alla mera posizione/qualifica soggettiva degli stessi, ma alla possibilità – garantita dalla carica posseduta – di influire, nell’esercizio dei poteri/prerogative a quella connessi, sulla attività dell’Ente che indice la selezione: essendo evidente (restringendo l’analisi ai rappresentanti sindacali, ovvero alla posizione che rileva nella presente controversia) che quella possibilità potrebbe favorire la costituzione, già in fase concorsuale, di rapporti di “affiliazione” tra il commissario-rappresentante sindacale ed alcuno dei concorrenti, in funzione del rafforzamento della posizione dell’esponente sindacale nell’esercizio dei suoi compiti rappresentativi, con i conseguenti intuibili effetti perturbatori sulla corretta ed imparziale esplicazione delle valutazioni concorsuali.
Nel delineato contesto interpretativo, l’estraneità dell’Amministrazione che ha indetto il concorso al raggio di azione del dott. T., quale rappresentante sindacale, non consente quindi di prefigurare la necessaria interferenza tra i suoi compiti sindacali e l’attività della prima, che integra il presupposto applicativo del menzionato divieto normativo: né questo può discendere, come ritenuto dal T.A.R., dalla mera contiguità territoriale tra la Regione Basilicata (in cui il suddetto esercita la sua funzione rappresentativa) e la Regione Puglia, in cui è ubicata l’ASL interessata, ovvero dalla ristrettezza della comunità di influenza sindacale, nessuno dei due profili essendo suscettibile di integrare, come richiesto dalla giurisprudenza citata (e come innanzi ulteriormente illustrato), “un qualche elemento di possibile incidenza tra l’attività esercitabile da colui che ricopre cariche politiche, sindacali o professionali e l’attività dell'ente che indice il concorso”.
Qui il link alla sentenza del Consiglio di Stato n. 796 del 31 gennaio 2020.
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