La Corte Costituzionale con sentenza n. 272 del 22/12/2015 ha dichiarato l'incostituzionalità della norma che prevedeva il blocco delle assunzioni a qualsiasi titolo per le Amministrazioni che violavano i tempi medi di pagamento.
L’art. 41 del DL. 66/2014, comma 2, prevedeva che "Al fine di garantire il rispetto dei tempi di pagamento di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, esclusi gli enti del Servizio sanitario nazionale, che, sulla base dell’attestazione di cui al medesimo comma, registrano tempi medi nei pagamenti superiori a 90 giorni nel 2014 e a 60 giorni a decorrere dal 2015, rispetto a quanto disposto dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nell’anno successivo a quello di riferimento non possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione.
Il carattere irrazionale della norma era stata in più occasioni evidenziata dalle autonomie locali che ne avevano chiesto l'abrogazione. E' ora intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 272 depositata il 22/12/2015 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, per violazione del principio di proporzionalità. Questi i passaggi principali della sentenza:
"La soluzione in concreto adottata dal legislatore statale nella norma censurata dalla Regione Veneto, tuttavia, si pone in contrasto con il principio di proporzionalità, il quale, se deve sempre caratterizzare il rapporto fra violazione e sanzione (sentenze n. 132 e n. 98 del 2015, n. 254 e n. 39 del 2014, n. 57 del 2013, n. 338 del 2011, n. 333 del 2001), tanto più deve trovare rigorosa applicazione nel contesto delle relazioni fra Stato e regioni, quando, come nel caso in esame, la previsione della sanzione ad opera del legislatore statale comporti una significativa compressione dell’autonomia regionale (sentenze n. 156 del 2015, n. 278 e n. 215 del 2010, n. 50 del 2008, n. 285 e n. 62 del 2005, n. 272 del 2004).
L’art. 41, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014, là dove prevede che qualsiasi violazione dei tempi medi di pagamento da parte di un’amministrazione debitrice, a prescindere dall’entità dell’inadempimento e dalle sue cause, sia sanzionata con una misura a sua volta rigida e senza eccezioni come il blocco totale delle assunzioni per l’amministrazione inadempiente (con l’unica esclusione degli enti del Servizio sanitario nazionale e dei casi di cui all’art. 4, comma 1, e all’art. 6, comma 7, del già citato d.l. n. 78 del 2015), non supera il test di proporzionalità, il quale «richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi» (sentenza n. 1 del 2014).
La violazione della proporzionalità si manifesta innanzitutto nell’inidoneità della previsione a raggiungere i fini che persegue. Il meccanismo predisposto dall’art. 41, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014, infatti, non appare di per se stesso sempre idoneo a far sì che le amministrazioni pubbliche paghino tempestivamente i loro debiti e non costituisce quindi un adeguato deterrente alla loro inadempienza.
Il blocco delle assunzioni, colpendo indistintamente ogni violazione dei tempi medi di pagamento, può investire amministrazioni che, nell’anno di riferimento, siano state in ritardo con il pagamento dei loro debiti per cause legate a fattori ad esse non imputabili. Nel caso degli enti territoriali, in particolare, il ritardato pagamento dei debiti potrebbe dipendere dal mancato trasferimento di risorse da parte di altri soggetti o dai vincoli relativi al patto di stabilità. [...]
3.2.2.– La previsione impugnata non supera il test di proporzionalità nemmeno da un altro punto di vista, e anche volendosi limitare a considerare l’ipotesi del ritardo dipendente da disfunzioni e negligenze dell’ente nella gestione delle procedure di pagamento. La rigidità della previsione, sia sul versante della individuazione della violazione (senza differenziazione fra le ipotesi di superamento minimo dei tempi medi prescritti e le altre), sia su quello delle sue conseguenze (la sanzione è in ogni caso il blocco totale), porta a ritenere, infatti, che l’obiettivo perseguito potesse essere raggiunto con un sacrificio minore – più precisamente con un sacrificio opportunamente graduato – degli interessi costituzionalmente protetti, per quanto qui specificamente rileva, delle regioni e delle relative comunità".
Qui il link alla sentenza integrale della Corte Costituzionale n. 272/2015.
Qui la reazione dell'ANCI alla decisione della Consulta.
Qui la reazione dell'ANCI alla decisione della Consulta.
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