Le questioni regolamentari si pongono spesso come snodi decisivi per attuare scelte politiche fondamentali. Lo dimostra, da ultimo, la contestata decisione del governo Renzi di porre alla Camera la fiducia sulla riforma della legge elettorale.
È dalla riforma regolamentare del 1988 - da quando cioè, capovolgendo la disciplina precedente, si è deciso che il voto palese è la regola e quello segreto l’eccezione -, che le regole sulle modalità di voto sono al centro di problemi applicativi (v. da ultimo la seduta della Giunta per il regolamento della Camera del 12 gennaio 2015), a dimostrazione di come la tensione tra libertà e responsabilità parlamentare, nonostante il tempo trascorso, rimanga tuttora irrisolta, anzitutto nel costume. E questo per l’ovvia ragione che, in mancanza del coraggio manzoniano, il come si vota incide quasi sempre sull’esito del voto. Anzi, quell’equilibrio allora faticosamente raggiunto sembra oggi rimesso in discussione dalle opposte tendenze a contenere, per un verso, le spinte individualiste e centrifughe causate dalla frantumazione della rappresentanza politica e, per altro verso, la crescente verticalizzazione di una dialettica politica che procede per sintesi successive (dapprima nel partito/gruppo, poi in seno alla maggioranza/minoranza, infine in Aula) in base alle “durezze” del principio maggioritario. Il tutto in nome di una libertà di mandato strumentalmente ora invocata, ora negata più per motivi politici che di coscienza.
Inizia così l'articolo di Salvatore Curreri dal titolo Questione di fiducia e legge elettorale in corso di pubblicazione su “Quaderni costituzionali”.
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