Iniziato oggi pomeriggio da parte dell'Aula del Senato l'esame del DDL 1577 di riorganizzazione della PA. Il relatore, Sen. Giorgio Pagliari, ha effettuato la relazione orale sul DDL.
Questa la relazione tratta dal resoconto di seduta.
PAGLIARI, relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questo periodo mi sono sentito ripetere più volte: riforma della pubblica amministrazione? Non penserà il Premier di riuscire in quello in cui non sono riusciti illustri Presidenti e Ministri del calibro di Massimo Severo Giannini? È uno sforzo inutile. (Brusio).
Signor Presidente, chiedo una cosa sola, se è possibile che chi non intende ascoltare si allontani dall'Aula.
PRESIDENTE. Prego i colleghi che intendono continuare a parlare di accomodarsi fuori dall'Aula affinché il senatore Pagliari possa svolgere la relazione nella massima serenità e tranquillità.
PAGLIARI, relatore. Vero è il riferimento storico, e legittimo il pessimismo della ragione. L'ottimismo della volontà però è un dovere imprescindibile per la politica, per il Parlamento e per il Governo. La responsabilità della politica è di dare soluzione ai problemi veri, di non arrendersi e di scegliere non in modo tattico ma in chiave strategica, mettendoci la faccia, proponendo soluzioni vere, anche se difficili e scomode, altrimenti lo sforzo sarebbe inutile e di facciata.
Tutto questo presuppone che vi sia una vera necessità da soddisfare, una questione reale. Ebbene, perché la riforma della pubblica amministrazione? Tutto oggi dice, con evidenza assoluta, che per la pubblica amministrazione non basta voltar pagina ma è necessario cambiare libro. Perché? Per la corruzione? Certamente. Ma non solo. E vorrei dire non prioritariamente.
C'è una pubblica amministrazione vissuta come ostacolo, c'è una legalità vista come un inutile orpello, ci sono imprese e privati che restano senza risposte e subiscono inutili ritardi e freni nelle loro attività. Tutto questo evidenzia lo iato tra la Costituzione materiale e la Costituzione formale, articoli 97 e 98 della Costituzione, che postulano il buon andamento, l'imparzialità e il servizio esclusivo della Nazione.
La pubblica amministrazione, infatti, è troppo spesso, anche nell'ottica del valore costituzionale della leale collaborazione, un corpo a sé, un tendenziale contropotere portato ad andare oltre, mentre deve essere un potere che resta nel suo ambito.
Questo dato, senza fare di ogni erba un fascio, mi sembra purtroppo innegabile. Quali le cause? Tante: debolezza della politica, deficit tecnico del sistema, logica del contropotere, crisi del sistema, inefficacia dei controlli, rapporti innaturali tra politica e amministrazione, responsabilità come optional, legislazione elefantiaca, disarmanti lentezze della giustizia. Sotto questo profilo, sarebbe lunga la riflessione sull'inadeguata applicazione della divisione tra tecnica e politica, con la prevaricazione dei politici sui tecnici con scarsa dignità e professionalità e dei tecnici sui politici con pari scarsa dignità e professionalità. Ma c'è più in generale un tema, quello dei tecnici che agiscono guidati dal principio della transitorietà dei politici. I recentissimi scandali ne sono un emblematico e poliforme esempio. Il punto è dunque quello di avviare, una volta ancora con l'ottimismo della volontà, un processo di ricostruzione e di rimodellazione della pubblica amministrazione, nell'ottica degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Si tratta di un processo che comporta un cambio di contesto ordinamentale non meno di un cambio di costume e di mentalità e che chiede alla politica il coraggio di promuovere questo cambiamento.
Ebbene, sia per l'impianto originale del decreto-legge di iniziativa del ministro Madia, sia per lo sforzo compiuto da voi colleghi con gli emendamenti, dalla Commissione affari costituzionali e - se permesso - da me come relatore, in un dialogo costruttivo e fattivo con il Ministro stesso e con il suo pregevolissimo staff, nella proposta che viene presentata alla nostra attenzione ci sono scelte che potenzialmente vanno nel senso giusto.
L'articolo 1 sulla cittadinanza digitale cerca di accelerare l'attuazione dell'agenda digitale con misure molteplici, delle quali a mio parere meritano particolare menzione quelle sull'abbattimento delle barriere concrete di accesso e di rapporto tra pubblica amministrazione, imprese e cittadini e quelle sull'educazione informatica di questi ultimi, che è un elemento di democrazia nell'evoluzione della nostra società.
Gli articoli 2 e 3 riguardano la disciplina dell'attività amministrativa, uno dei profili cardine di una riforma della pubblica amministrazione. La legalità, l'efficacia e l'efficienza dell'azione della pubblica amministrazione dipendono dalla puntualità, tempestività ed esatta modulazione della decisioni. Queste disposizioni si incentrano soprattutto sui meccanismi procedimentali, garantendo l'esercizio delle funzioni di ogni amministrazione coinvolta in tempi tali che non consentano l'eternalizzazione di fatto dei procedimenti e delle decisioni; una eternalizzazione che rende "schiavo" il privato e rende "schiava" l'impresa che attende risposte dalla pubblica amministrazione.
In questa chiave si muovono le proposte, contenute nell'articolo 2, su quell'istituto fondamentale che è la Conferenza dei servizi. In questa disciplina si introducono elementi che garantiscono una decisione certa e in tempi predefiniti, che portano il rapporto all'interno della Conferenza dei servizi nell'ottica della leale collaborazione fra amministrazioni e che quindi consentono di valorizzare questo strumento. Così è per il silenzio-assenso tra amministrazioni pubbliche, che comporta la fictio iuris dell'acquisizione del parere (non di un parere positivo o negativo), qualora la pubblica amministrazione tenuta non risponda entro trenta o sessanta giorni.
Anche questo va nell'ottica che ciascuno deve esercitare le proprie funzioni, ma non impedendo la conclusione dei procedimenti che sono nell'interesse dei cittadini e delle imprese.
Sempre alle attività si riferisce l'articolo 4, che io credo sia una norma fondamentale perché, attraverso l'esercizio della delega ivi prevista, questo Paese avrà finalmente la disciplina delle attività assoggettate, nelle diverse forme, ad una semplice comunicazione del privato e delle imprese.
Il nostro ordinamento si è andato evolvendo da un ordinamento dell'autorizzazione preventiva ad un ordinamento del controllo successivo, da un'amministrazione autorizzativa ad un'amministrazione del consenso. Questa trasformazione, che è avvenuta di fatto nella legislazione, non ha mai trovato punti di definizione e di regolazione organica, e questa è la prima occasione perché, attraverso questa delega, dando una disciplina concreta a queste attività di iniziativa dei privati, si realizza un contesto di garanzia e di certezza giuridica dei rapporti tra i privati e la pubblica amministrazione. Si creano condizioni per le quali queste attività, che iniziano per opera del privato, e che trovano nell'amministrazione solo la possibilità del controllo, possono svilupparsi in questa logica, senza che intervengano quei fenomeni distorsivi che il timore di perdita di potere da parte della burocrazia ci ha portato a verificare, giorno dopo giorno, nella realtà dei Comuni e delle amministrazioni pubbliche. Dare certezza su questo vuol dire dare un profondo contributo a quella ridefinizione del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini, che deve andare nel senso di un'amministrazione che, garantendo la legalità, non è contro il cittadino, ma è nella logica dell'articolo 118, quarto comma, della Costituzione, della solidarietà orizzontale, e cioè è strumento dell'affermazione e dello sviluppo dell'iniziativa del privato.
Non meno significativo sul piano della certezza dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini è l'articolo 5, con la nuova disciplina - e questo è un elemento tecnico - per esempio, dell'annullamento d'ufficio, con l'individuazione di un termine certo entro il quale questo annullamento può essere esercitato (che sono i 18 mesi). Ricordo anche l'articolo 6, la delega sul diritto all'accesso dei parlamentari, che porrà fine a prassi incostituzionali, e la riduzione del 60 per cento delle tariffe riconosciute ai gestori delle reti telefoniche per le intercettazioni e le altre attività d'indagine; un contributo forte, anche questo, nel senso del processo della lotta alla corruzione.
Gli articoli 7 e seguenti spostano l'attenzione sui profili organizzativi della pubblica amministrazione. Nell'articolo 7 si prevede la riduzione degli apparati strumentali, il riordino e la razionalizzazione delle funzioni di polizia; il riordino delle funzioni di tutela dell'ambiente, del territorio, del mare, dei controlli nel settore agroalimentare, con la riorganizzazione del corpo forestale dello Stato e il suo eventuale accorpamento; un riordino delle funzioni della Presidenza del Consiglio per l'attuazione dell'articolo 95, del suo potere di indirizzo e della responsabilità della collegialità dell'azione del Governo.
C'è la previsione relativa agli uffici territoriali periferici dello Stato, una misura molto importante e molto significativa non solo perché dà sul territorio un coordinamento alla presenza dello Stato, ma anche perché, attraverso questa riorganizzazione, che sarà anche di tipo logistico, si avrà la possibilità, anche nell'ottica della Conferenza dei servizi, di avere una rappresentanza unitaria sul territorio, e in periferia delle rappresentanze dello Stato. E chi opera nella pratica delle amministrazioni sa quanto ciò sia importante e quanto possa aiutare a definire e a restringere i tempi di decisione e a chiarire i rapporti di collaborazione e di interazione tra privati e imprese e pubblica amministrazione.
Sempre nell'ambito della riorganizzazione, c'è poi l'articolo 8-bis, che riguarda le Camere di commercio. Credo che sia una norma molto importante e significativa, che ha visto anche la centralità della collaborazione e del ruolo del Parlamento, dove è avvenuta la definizione di questa ipotesi, vista la censura fatta dalla Commissione bilancio sull'articolo 9.
Si tratta di una ridefinizione delle Camere di commercio che, comportando una riorganizzazione dal punto di vista numerico, mantenendo il registro delle imprese e con una riorganizzazione e una ridefinizione dello stesso assetto delle partecipazioni delle Camere di commercio, si colloca in una logica di apertura ancora maggiore delle stesse Camere di commercio rispetto al territorio. C'è infatti una previsione, che credo sia molto importante, per cui, da un lato, l'elezione degli organi delle Camere di commercio dovrà vedere un'adeguata consultazione delle imprese associate e, dall'altro, dovrà vedere la previsione di limiti dei mandati. Tutto questo si traduce in una misura di certo rinnovamento del sistema delle Camere di commercio: sono misure che non credo nessuno possa prendere come punitive o come antitetiche o oppositive. Sono misure che vanno nel segno di quel processo di modernizzazione che, senza retorica, tutti avvertiamo che dovrebbe essere proprio delle pubbliche amministrazioni.
In questa stessa logica riguardante i profili strettamente organizzatori, vorrei collegarmi subito alla delega sulle società partecipate e sui servizi pubblici locali: sono due deleghe che caratterizzano fortemente e qualificano questo provvedimento.
Tutti sappiamo qual è l'importanza anche economica dei servizi pubblici locali; tutti sappiamo qual è l'importanza del settore della società partecipate e quale potenzialità questo settore può avere per l'azione dei pubblici poteri, ma anche quanto esso abbia contribuito, purtroppo negativamente, diventando il luogo della corruzione, della mala gestione e dell'incontrollato debito delle amministrazioni pubbliche.
Ebbene, è in questa chiave che si muovono i criteri indicati all'articolo 14 della delega, che naturalmente non ripercorrerò tutto per non dilungarmi troppo, ma del quale voglio sintetizzare alcuni punti. Ricordo, innanzitutto, la riduzione del numero delle società partecipate; il collegamento alle funzioni istituzionali delle amministrazioni partecipanti; i bilanci consolidati, vale a dire i bilanci delle amministrazioni pubbliche che devono ricomprendere anche quelli delle società partecipate e, infine, quella che penso sia una misura assolutamente importante, introdotta dal Parlamento, vale a dire una disciplina della responsabilità che prevede la responsabilità degli amministratori delle amministrazioni partecipanti. Ciò vuol dire che nelle società partecipate la responsabilità delle decisioni imposte come socio unico o come socio di maggioranza dal sindaco, dal Presidente della Provincia o da qualsiasi altro amministratore pubblico, ricadranno su questi ultimi.
Tutti sappiamo che fino ad oggi si è verificato semplicemente l'opposto, per cui, approfittando delle forme privatistiche, gli amministratori pubblici andavano ad imporre le scelte, spostando il debito sulle società partecipate, così facendo clientela a livello di assunzioni e a livello di consulenze in queste stesse società.
Attuare questa delega vuol dire realizzare un'importante inversione di tendenza sulla prassi e sull'uso di meccanismi che hanno una loro potenzialità, ma vuol dire anche incidere su comportamenti e costumi politici, proprio nella logica di quello che è stato deciso poco prima dell'anticorruzione.
Non meno importante è l'articolo 15, sui servizi pubblici locali, in cui si ribadisce la funzione fondamentale che questi servizi svolgono e la loro finalizzazione alla soddisfazione dei bisogni della collettività in una chiara chiave di aggancio con l'uguaglianza sostanziale dell'articolo 3, in cui è prevista una disciplina generale dei servizi, l'eliminazione della esclusiva e i regimi premiali delle aggregazioni, oltre a regimi tariffari che prevedano che gli eventuali incrementi di produttività vengano destinati a ridurre l'aggravio dei servizi su imprese e cittadini.
Torno adesso sull'altro tema che attiene sempre alla riorganizzazione: mi riferisco al tema dei dipendenti pubblici. Ci sono due norme che riguardano questo aspetto: l'articolo 13 sul Testo unico sul lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e l'articolo 10. Questi due articoli sono legati tra loro da un filo: è il filo che parte dalla considerazione che il luogo comune dei dipendenti pubblici fannulloni è, appunto, un luogo comune e che c'è una valorizzazione del personale pubblico da fare. Si tratta di una valorizzazione che non deve fare di ogni erba un fascio, né in positivo, né in negativo, e che, quindi, deve impedire che i bravi dipendenti pubblici vengano accusati di essere fannulloni, ma che non deve impedire che i fannulloni nella pubblica amministrazione portino il peso e le conseguenze del mancato adempimento delle loro funzioni. In questa chiave, ci sono delle norme generali, cioè quelle dell'articolo 13 del Testo unico, che vanno nel senso del miglioramento della qualità delle condizioni di espletamento dei concorsi che vengono accentrati e della ricerca di metodi di selezione che siano più adeguati alla ricerca delle professionalità e, quindi, alla valorizzazione dei cervelli, più che alla valorizzazione delle conoscenze puramente nozionistiche che vanno ad accentuare il tema della valutazione del merito dei dipendenti pubblici rispetto alle valutazioni formali che caratterizzano il sistema attuale.
C'è poi l'articolo 10 sulla dirigenza pubblica, che è sicuramente uno degli articoli che maggiormente ha accentrato l'attenzione dell'opinione pubblica. Da questo punto di vista, vorrei subito dire che il tema non è quello dei segretari comunali. Il tema dei segretari comunali lo abbiamo risolto con - credo - equilibrio, dimostrando che tutto è stato collocato nel contesto di una riforma più complessiva e che in quella logica anche i segretari comunali dovevano essere oggetto di riforma. Questa è però una riforma che colpisce, perché, nella logica di superare la crisi della pubblica amministrazione, si permette di pensare ad una dirigenza che muti completamente le sue condizioni, le sue radici, il contesto di operatività: non condizioni che vengono mutate per togliere garanzie, ma condizioni che vengono mutate per valorizzare la funzione e l'importanza della dirigenza; per consentire che la dirigenza possa esprimersi al meglio nella distinzione tra tecnica e politica e possa dare il suo contributo imprescindibile. Per questo non abbiamo però bisogno di burocrati che si consolidano in un posto e in quel posto rimangono, di burocrati che conoscono semplicemente una fetta e su quella fetta costruiscono la loro fortuna personale e magari anche la loro fetta di potere. Abbiamo bisogno di una dirigenza che, proprio perché professionale, sappia che il principio del concorso sul piano professionale, della necessità del costante aggiornamento, della necessità di mettersi sempre in discussione è il qualcosa che serve. Infatti, abbiamo bisogno di una dirigenza che possa rendere dinamica la nostra pubblica amministrazione e questa dirigenza è solo quella che sa di essere messa continuamente in discussione sul piano professionale, di doversi riguadagnare, tempo dopo tempo, la funzione, la collocazione ed il prestigio del ruolo e di doversi confrontare senza limiti di Ministero e di Istituzione, con tutti gli altri dirigenti pubblici, in un confronto che è quello della professionalità e del merito, che non è il confronto né delle correnti politiche, né delle correnti interne alle amministrazioni. È una sfida alla dignità e alla professionalità vera: quella professionalità che si gioca sulla capacità di esercitare le proprie funzioni tecniche e di esercitarle nel contesto di una deontologia vera.
C'è poi l'articolo 15-bis, che si collega a questo tema appena toccato. L'articolo 15-bis è quello che introduce una delega che consentirà al Governo di eliminare entro 90 giorni tutte quelle previsioni di decreti ministeriali e di regolamenti attuativi che hanno impedito l'entrata in vigore di tante normative.
Sappiamo dalla prassi che questi decreti ministeriali e questi regolamenti attuativi sono stati spesso, nell'uso distorto e nella strumentalizzazione di tali previsioni, lo strumento per impedire che leggi non gradite entrassero in vigore. Anche questa è una misura di forte e significativa incidenza su processi che bloccano il corretto rapporto tra il potere legislativo, il potere esecutivo e l'amministrazione tutta. Intendiamoci: credo che la riforma - vanno in questo senso le rassicurazioni che ha dato a più riprese il Presidente del Consiglio e che il Ministro condivide assolutamente - avrà bisogno di una delega per la riscrittura della legge fondamentale sull'attività amministrativa, ovvero il testo unico n. 241 del 1990, e avrà bisogno anche di una revisione del sistema dei controlli, di una ridefinizione del processo contabile e di aggredire il tema della semplificazione normativa. Non possiamo più pensare che, nell'ambito della riforma complessiva dello Stato italiano, non ci sia e non ci debba essere l'individuazione di un modo di legiferare, che dia ordine, certezza e conoscibilità immediata ai testi e alle loro modifiche. Si tratta di una questione che abbiamo perso l'opportunità di affrontare nel disegno di legge costituzionale, ma che va ripresa, perché è un segno di civiltà giuridica. Senza retorica: siamo la patria della civiltà giuridica e non possiamo avere la zavorra di un sistema legislativo inconoscibile ed elefantiaco, che, come si sa bene, è uno degli strumenti della corruzione. L'eccesso di legislazione incontrollata e non ordinata è ciò che garantisce al mondo della corruzione di trovare sempre un inganno nella legge. Occorre dunque semplificare e chiarire tale sistema, affinché tutte le responsabilità vengano chiarite e definite.
Detto questo, voglio aggiungere con forza un altro elemento: tutto si tiene e dunque la riforma della pubblica amministrazione - anche la migliore possibile - che ha sicuramente delle potenzialità forti, non sarà possibile se non ci sarà una riforma e un efficientamento complessivi del nostro sistema pubblico. Questo efficientamento complessivo, a mio modo di vedere, non può non partire da un efficientamento vero e deciso del sistema giudiziario italiano (Applausi del senatore Cuomo) sia esso civile, penale, amministrativo, tributario o contabile. Tutte le riforme della giustizia saranno senza futuro, sino a quando non partiremo dalla regola essenziale di fissare tempi certi, nella flessibilità intelligente della norma, per la definizione del giudizio. Esiste del resto un tempo certo per l'azione della pubblica amministrazione: perché non ci deve essere un tempo certo per l'azione giudiziaria? Ciò non incide né sull'indipendenza, né sull'autonomia, né sullo svolgimento della funzione, ma fa assumere a carico anche del sistema giudiziario - quindi degli avvocati, così come dei magistrati - il problema di non negare giustizia e di dare quindi una risposta vera, forte ed efficace.
Voglio fare un' ultima considerazione, con la pacatezza dovuta, ma anche con il dovuto senso di responsabilità, al termine di questa esperienza di relatore del provvedimento in esame, per certi versi davvero esaltante, anche se certamente senza megalomania, per quello che mi riguarda. Ho notato una grande resistenza al cambiamento e una difficoltà a capire che il cambiamento è interesse di tutti. Il cambiamento non va visto guardando al problema di ciò che ci viene tolto, ma deve costituire l'elemento forte, in una prospettiva generale, della tanto invocata missione che abbiamo verso le generazioni future. Occorre capire che dobbiamo assumerci tutti insieme il problema e l'onere del cambiamento, che dobbiamo accettare di metterci in discussione, non per fare piacere a questo o ad un altro Presidente del Consiglio, ma perché si tratta di un problema che, se lo vogliamo vedere, possiamo vedere e percepire tutti i giorni. Sappiamo quanto questo Paese abbia potenzialità per essere davvero un leader nel mondo.
Ma se non abbiamo la capacità di assumere la scommessa del cambiamento in termini non retorici, ma concreti, e di andare su questa strada tutti insieme, non riusciremo a sviluppare tutte queste potenzialità.
Voglio ringraziare il Ministro per la collaborazione. Abbiamo collaborato in un confronto molto aperto e dialettico, ma sempre profondamente costruttivo. Credo che il Parlamento giudicherà i risultati di questo confronto ma, con la consapevolezza dei limiti, credo che un certo lavoro sia stato svolto.
Voglio ringraziare la Presidente della Commissione affari costituzionali, cui devo l'opportunità di questa esperienza, il capogruppo, senatrice Lo Moro, e tutti i componenti della Commissione affari costituzionali e non me ne vorranno quelli degli altri partiti se prima di tutto ringrazierò i miei colleghi di partito, che mi sono stati amici e dei quali ho sentito il sostegno in tutto il percorso.
Naturalmente, voglio ringraziare anche lo staff della Commissione affari costituzionali e quello del Ministero della funzione pubblica, che ha collaborato profondamente allo sviluppo di questo lavoro non semplice. Con la mole degli emendamenti e del lavoro da svolgere erano necessari una diligenza, un'attenzione ed una professionalità che sono stati dimostrati dagli staff tecnici tanto della Commissione affari costituzionali quanto del Ministero della funzione pubblica. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
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