LA rivista on line ildirittoamministrativo.it segnala la recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 5 settembre 2014, n. 4525, che riafferma consolidati principi in materia di accesso agli atti amminsitrativi da parte dei consiglieri comunali.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso presentato avverso la decisione del giudice di primo grado con la quale il Tar Campania ha riconosciuto l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di accesso presentata da un consigliere di minoranza asserendo che lo stesso costituisce un ostacolo all’effettivo esercizio della pubblica funzione.
Nel merito il Supremo Consenso ricorda come “secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, da cui non vi è motivo di discostarsi (C.d.S. 6963/10; 5264/07), i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento delle loro funzioni, ciò anche al fine di permettere di valutare - con piena cognizione - la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.
Il diritto di accesso loro riconosciuto ha in realtà una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini [...]; quello riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio delle loro funzioni […] e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 1994, n. 976)”.
Proprio in ragione delle peculiarità del diritto in questione si ritiene che non sussista in capo al consigliere comunale un onere di motivazione della richiesta di accesso a meno di non consentire un controllo del suo operato da parte dell’ente.
Gli unici limiti rinvenibili in capo agli stessi, dunque, attengono alla limitazione dell’aggravio dell’attività degli uffici comunali e non deve trattarsi di atti emulativi, caratteristiche, peraltro, assenti nel caso in esame.
Alla luce dei motivi sopra esposti i giudici di Palazzo Spada hanno confermato la decisione assunta in primo grado e dichiarato illegittimo il silenzio serbato dalla Pubblica Amministrazione.
Qui il link alla sentenza.
In argomento si vedano anche il precedente post Accesso agli atti dei consiglieri comunali e tutela della riservatezza ed il successivo Non delegabile il diritto di accesso spettante ai Consiglieri comunali ex art. 43 del D.lgs. 267/2000.
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