Riviviamo oggi l’ennesima stagione delle riforme annunciate, riforme che, oramai, toccano tutti i settori della nostra società. Tuttavia la riforma può considerarsi tale se, sostituendo a un vecchio impianto una nuova strumentazione e una nuova cultura, produce, nel tempo, una reale utilità sociale, per cui un sistema riformista può dirsi vincente, non tanto misurandosi sulla quantità di riforme condotte in porto, ma valutando la qualità che le stesse sono in grado di veicolare nell’ambito innovato. La riforma della Pa è tema centrale di questa stagione governativa. Difficile confutare l’esistenza di questa esigenza, ma per considerarne i reali effetti bisogna valutare la tipologia e l’intensità dell’intervento riformista, per consentire di giudicarne l’efficacia, la bontà e la tenuta, anche sul piano culturale. Su tutte le riforme attualmente in cantiere si è conquistata il meritato primato quella, tanto attesa, della dirigenza pubblica che, già nel tempo, ha rappresentato l’area che ha accusato il maggior numero di interventi legislativi, a riprova del nervo scoperto che questo settore ancora oggi presenta.
Inizia così l'articolo di Luca Tamassia dal titolo Riforma della dirigenza pubblica troppo puntata sull'attribuzione di responsabilità pubblicato sul quotidiano del Sole24Ore Enti Locali & PA.
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